Norme per aprire una società all’estero

Nonostante si registri un forte aumento del numero di aziende che aprono una sede all’estero, in realtà questa operazione non è così semplice dal momento che si deve far i conti con le norme fiscali e commerciali differenti per ogni stato.

Ecco perché è opportuno di rivolgersi a società di consulenza che riescano a gestire gli aspetti fiscali e burocratici della società.

 

Vantaggi e svantaggi dell’apertura di una società all’estero

Quando si decide di costituire una nuova società all’estero, lo si fa innanzitutto per i vantaggi fiscali e burocratici che ne derivano.

Purtroppo, le cose non sono esattamente così facili: costituire una società estera non significa non avere più rapporti con il Fisco italiano, dal momento che le tasse devono essere pagate nel paese in cui si produce il reddito.

In particolare, secondo il comma 3 dell’art 73 del T.U imposte sui redditi D.P.R n. 917/1986 viene sottolineato che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia e, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.”

 

Società con residenza estera: il caso del reato di omessa dichiarazione

La stessa Cassazione nell’esprimersi nei confronti della sentenza penale n.16001/2013, ha chiarito che: “ai sensi dell’art. 73, comma 3, del DPR 22/12/1986 n. 917 – l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’art. 5 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi (sez. 3, sentenza n. 7080 del 24/01/2012 – sez. 3, sentenza n. 29724 del 26/05/2010 con riferimento all’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale IVA da parte di società avente residenza fiscale all’estero)”.

Ciò significa che chiunque voglia aprire una società estera, gestendola però in Italia, dovrà pagare al Fisco Italiano, le dovute imposte onde evitare di essere accusati di reato di omessa dichiarazione.

Un ulteriore precisazione è arrivata proprio con la sentenza della Cassazione n. 16296/2018 inerente anche la costituzione estera di una società, che opera nel settore e-commerce e gestita in Italia, per la quale valgono gli stessi obblighi di tassazione.

In poche parole non è possibile aprire una società in Austria per avvalersi dei vantaggi fiscali e, nel caso in cui si tratti di un e-commerce, vendere i prodotti in Italia.